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PostHeaderIcon Diossine, tutto un problema di percezione.

Lo scorso 7 novembre è stato presentato nell’aula Consiliare del Comune di Lavello lo studio “Valutazione dell’esposizione a diossine e policlorobifenili di donne in età riproduttiva residenti nella provincia di Potenza.”.
Lo studio venne commissionato all’Istituto Superiore di Sanità nel 2015 dalla regione Basilicata, quando i risultati di un’analisi promossa del Movimento 5 Stelle di Lavello sul latte materno di una concittadina, aveva rivelato presenza significativa di diossina.
La scelta dell’aula consiliare per la presentazione dello studio ci ha fatto subito capire che ci sarebbe stato il solito tentativo di “tranquillizzare”, condito da complimenti reciproci tra i soggetti istituzionali coinvolti a qualsiasi titolo. Così è stato. Il sindaco Altobello ha ritenuto i risultati confermativi del buon operato del “decisore politico”; l’assessore regionale all’ambiente Pietrantuono ha trovato conferma (!) che la questione ambientale è perlopiù un “problema di percezione” e si è sentito “assolutamente tranquillizzato” dai risultati esposti; un terzetto composto da consiglieri comunali ed assessore all’ambiente di Lavello – a poche ore dal convegno – pubblica un video sui social network per confermare, anche loro, di essere assolutamente tranquillizzati e soddisfatti di quanto emerso nel convegno, rivolgendosi in particolare a chi “cerca di fare del terrorismo”. Raccomandano tranquillità anche al resto della cittadinanza. Ma sarà davvero un problema di percezione?
Dall’intervento della Dott.ssa Elena De Felip dell’Istituto Superiore di Sanità abbiamo percepito che:
- l’assunzione di diossina nell’uomo avviene perlopiù per via alimentare;
- la diossina nel latte materno delle neo mamme campionate è effettivamente presente in dosi dalle cinque alle dieci volte superiori rispetto a quelli che sono i limiti di tossicità previsti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità;
- in altre indagini simili, adoperate a comparazione, la diossina rilevata è circa doppia rispetto allo studio presentato. Una di queste nella provincia di Trento.
Dal dottor Mario Negrone, dirigente dell’ASP di Potenza, abbiamo appreso che lo studio ha richiesto un notevolissimo sforzo ed infusione di buona volontà da parte sua e di altri dipendenti dell’ASP, anche se sostanzialmente limitato ad attività burocratico amministrativa. Uno studio su base volontaria a cui non ha partecipato nessuna neo mamma di Lavello. Dato, questo, emerso grazie alle domande incalzanti di Giancarlo Gervasio, consigliere comunale del M5S di Lavello nella precedente consiliatura. Per i relatori è un dato irrilevante in quanto l’accumulo di diossina nell’uomo avviene prevalentemente per via alimentare. Pare che il maggior veicolo per questo tipo di assunzione sia il consumo di pesce.
Concetto ulteriormente sottolineato dall’assessore Pietrantuono, forse tranquillizzato dal fatto che il pesce non sia propriamente un alimento tipico delle pendici del Vulture.
Sarà la nostra percezione ma un’incidenza di diossina che va dal 500% al 1.000% rispetto alla soglia di tossicità indicata dall’OMS non ci tranquillizza affatto, neanche se comparata ad uno studio effettuato nella provincia di Trento che presenta tracce di diossina per un quantitativo doppio. Cosa dovrebbe tranquillizzarci? Che le nostre istituzioni sono sì incapaci di sorveglianza e cautela a favore della salute pubblica ma un po’ meno rispetto a quelle di Trento? Per quale grave situazione di inquinamento si è fatta l’indagine nella provincia di Trento? Forse le nostri istituzioni percepiscono che in Trentino la diossina sia un fenomeno naturale?
La nostra percezione è che di diossina nel latte materno non dovrebbe essercene affatto e le autorità farebbero bene ad essere allarmate anziché tranquillizzarsi e farebbero bene ad attivarsi immediatamente e decisamente per contenere ed arrestare le fonti di diffusione della diossina.
Percepiamo che qualcuno non si renda ben conto che nella catena alimentare le diossine si ritrovano per deposizione dalla via aerea, come evidenziato dallo schemino video proiettato dalla De Felip.
Non è affatto indifferente se il test avviene su una donna di Lavello anziché di Melfi, dal momento che nelle nostre abitudini alimentari c’è un significativo uso di produzioni locali. Le produzioni locali, ortaggi o bestiame per consumo familiare, possono avvenire su terreni con maggiore o minore esposizione all’emissioni di una fonte inquinante. Per esempio da un inceneritore?
Ciò che percepiamo con chiarezza è che - come al solito - le nostre autorità non fanno altro che tentare di suggestionare la cittadinanza comunicando letture fuorvianti di dati scientifici per indurre una tranquillità che, in realtà, non ha proprio ragione di essere. Evidentemente qualcuno percepisce che i cittadini di Lavello, Melfi e dintorni, siano fessi.
Noi, invece, percepiamo chiaramente che in questa Regione ancora una volta trionfa la cialtroneria intellettuale.
13/11/2018

Ultimo aggiornamento (Sabato 17 Novembre 2018 11:28)

 

PostHeaderIcon Fenice-EDF-Rendina sotto sequestro!

E’ stato sequestrato l’impianto per la mancata bonifica.
Dal 2009 - senza soluzione di continuità - l’inceneritore inquina le falde acquifere. Basta dare un’occhiata ai monitoraggi bimestrali pubblicati, con i soliti tempi biblici, sul sito dell’ARPAB.
A quanto pare solo la Magistratura e i NOE si sono accorti dello scempio che è avvenuto e sta avvenendo nel territorio di San Nicola di Melfi.
Lo abbiamo urlato in ogni modo ed in ogni sede, ma senza alcun effetto!
Ci siamo opposti allo sciagurato rilascio dell’AIA nel 2014, ma la giunta regionale si era illusa che con essa avrebbe controllato l’operato dell’impianto.
Ci siamo opposti all’approvazione di un piano di bonifica “sperimentale” che a distanza di un anno e mezzo ha prodotto solo dubbi, perplessità e la tragica conferma che non esistono “controllori” capaci di verificare l’operato di chi gestisce l’inceneritore.
Abbiamo denunciato l’emissione anomala di fumo rossastro dai camini senza avere alcuna spiegazione plausibile, anzi, l’episodio si è ripetuto. I dipendenti dell’impianto in questi anni hanno denunciato più volte davanti a 3 (tre) Prefetti diversi, i problemi di sicurezza interna, ma neanche questo è bastato a convincere la Regione a sospedere l’AIA o a prendere provvedimenti efficaci.
Vogliamo parlare del controllore? L’ARPAB che ancora oggi è sprovvista di laboratori attrezzati per analizzare le diossine, che non ci risulta aver verificato il rispetto delle prescrizioni contenute nell’AIA, che pubblica i monitoraggi bimestrali con un ritardo “imbarazzante”.
Poi c’è la silente e colpevole ASP: non una parola sugli effetti dell’inquinamento delle falde acquifere sul ciclo alimentare. Mai avviata una indagine epidemiologica nella zona.
E del divieto di emungimento dei pozzi a valle dell’inceneritore? Chi si preoccupa di farlo rispettare? Siamo sicuri che nessun agricoltore utilizzi quell’acqua? E’ vero, l’inceneritore è stato posto sotto sequestro e forse la Magistratura - sostituendosi a chi dovrebbe fare il proprio lavoro di vigilanza e controllo - potrà darci qualche certezza.
Per noi cittadini è comunque una sconfitta: anni in cui si è perso tempo prezioso lasciando che il territorio di San Nicola di Melfi venisse ulteriormente inquinato e compromesso.
19 luglio 2018
Comitato Diritto alla Salute.

Ultimo aggiornamento (Giovedì 19 Luglio 2018 13:02)

 

PostHeaderIcon Anomalie radiometriche e blitz notturni presso l'inceneritore FENICE-EDF-RENDINA-AMBIENTE.

"Anomalie Radiometriche". Questa è la definizione data alle segnalazioni di camion, in transito presso l'inceneritore di San Nicola di Melfi, che trasportano rifiuti risultati radioattivi.
La prima segnalazione risale al 16 dicembre 2014, l'ultima al 29 maggio 2017, per un totale di ben 39 - TRENTANOVE - segnalazioni giunte all'ARPAB da parte di chi gestisce l'inceneritore FENICE-EDF-RENDINA-AMBIENTE. Ogni camion in entrata dovrebbe essere verificato con il sistema di rilevamento posto all'interno dell'impianto. Nell'Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA), rilasciata dalla Regione, non sono stati previsti casi del genere. La procedura di trattamento di queste "anomalie" è stata concordata con ARPAB ed in base al tipo di radiazione rilevata si dovrebbero eseguire le operazioni del caso. La natura delle sorgenti radiometriche rilevate finora sono: Iodio-131, Uranio-238, Radio-226 (dati ARPAB).
Alcuni dei camion segnalati, sono rimasti parcheggiati all'interno dell'inceneritore in attesa del naturale decadimento della radioattività, per poi destinare il carico di rifiuti ad uno dei due forni. I siti di provenienza di questi camion sono i più disparati e tra questi vi sono anche i Comuni di Potenza, Matera, Santarcangelo e Atella.
Domande:
Perché continuano ad arrivare all'inceneritore camion contenenti materiale radioattivo? Chi trasporta e gestisce questi rifiuti "contaminati" è al corrente di essere esposto a radiazioni? Chi certifica che i controlli interni vengano effettuati tutte le volte che un camion accede all'impianto e che sia stato fatto anche prima di dicembre 2014?
La settimana scorsa il sindaco di Melfi, a seguito della segnalazione di anomale emissioni di fumo, ha deciso di effettuare un "blitz" presso l'inceneritore in piena notte, accompagnato da Carabinieri ed ARPAB. A seguito del blitz ha dichiarato: "abbiamo riscontrato una serie di anomalie nella gestione dell'impianto..." tanto da spingerlo a produrre un esposto alla magistratura. Esposto che si aggiunge alle varie denunce di "carenza di sicurezza interna all'impianto" prodotte negli ultimi anni dagli stessi lavoratori, denunce presentate sia al Prefetto che alla Magistratura.
Sul fronte dei controlli periodici sulla falda acquifera, l'ARPAB, per mancanza di tempo o di personale (?), non ha effettuato i monitoraggi bimestrali di Marzo 2017.
Della bonifica non abbiamo notizie dall'ultima conferenza di servizi di febbraio scorso, dove si è parlato di sperimentazione e di prove di laboratorio. Ricordiamo, infine, che ancora non ci risulta sia stata definita l'area interessata dalla contaminazione della falda stessa.
Un quadro sempre più incerto e preoccupante.
Per noi vi sono solo due sole strade percorribili per tentare di arginare la già martoriata e compromessa situazione ambientale dell'area nord Basilicata e per cercare quindi di garantire la salvaguardia della salute pubblica.
La prima è la revoca dell'AIA da parte della Regione, anche se siamo certi che la giunta Pittella - che nel 2014 ha ostinatamente rilasciato l'Autorizzazione con la certezza di tenere sotto controllo FENICE - si guarderà bene dal bloccare l'impianto, visto che l'inceneritore è il fulcro centrale della gestione dei rifiuti in Basilicata e del piano regionale dei rifiuti.
La seconda è un intervento deciso da parte della Magistratura con il commissariamento dell'impianto, forse un commissario riuscirebbe a dare maggiori garanzie, almeno sul fronte dei controlli.
03/07/2017
COMITATO DIRITTO ALLA SALUTE
 

PostHeaderIcon ARPAB e barriera idraulica: due cose che non funzionano bene.

Finalmente, da venerdì 10 febbraio 2017 l'ARPAB ha reso disponibili su internet i risultati dei controlli che ha effettuato all'esterno del sito contaminato Fenice-EDF-Rendina-Ambiente nell'ormai lontano ottobre 2015!
Nella stessa pagina web dell'ARPAB si legge che "I risultati delle analisi mostrano i superamenti in riferimento alle acque sotterranee dei parametri Ferro, Manganese, Fluoruri, Triclorometano, Tetracloroetilene, Tricloroetilene, 1,2-Dicloropropano". E che superamenti! Sostanze contaminanti, metalli e cancerogeni anche in misura oltre 5 volte superiore a quella prevista dalle norme, come per il Tricloroetilene nel piezometro denominato "S3".
Ancora una volta, ritardi inaccettabili nella pubblicazione di dati riguardanti l'ambiente e la salute pubblica, dati che confermano quanto già denunciato dalla confinante SATA e dalla SNOWSTORM nel 2013: *l'inquinamento della falda acquifera va bel oltre il sito contaminato dell'inceneritore*. Ce lo aspettavamo, ma il fatto che a distanza di 6 (SEI) anni l'inquinamento vada ben oltre il sito contaminato, fa legittimamente dubitare della barriera idraulica che dovrebbe "trattenere" l'inquinamento entro il sito contaminato.
La stessa barriera idraulica che, come riferito e confermato nella conferenza di servizi svoltasi alcuni giorni fa a Melfi, presenta anche anomalie di funzionamento. Anomalie di cui sia ARPAB che la società che gestisce l'inceneritore hanno dato tardivamente notizia. Eppure in Italia ci sono impianti simili che, in caso di malfunzionamento, vengono bloccati e fanno scattare l'intervento dei Carabinieri.
Purtroppo assistiamo solamente al continuo "passaggio di carte" tra gli uffici dei tanti soggetti istituzionali senza giungere alle logiche e definitive conclusioni.
Assistiamo alle scellerate decisioni dell'Osservatorio Regionale dei rifiuti che individua nell'inceneritore di Melfi la soluzione a tutte le incapacità e le inefficienze di questa regione nel trattare il ciclo dei rifiuti. Ormai l'inceneritore di San Nicola di Melfi é la soluzione di ripiego per qualsiasi discarica colpevolmente mal gestita. Come non bastasse, scopriamo anche che alle riunioni dell'Osservatorio Regionale dei rifiuti, tra i rappresentanti degli Enti locali, si fa partecipare pure la Rendina Ambiente SRL già Fenice-EDF, cioè un soggetto interessato alla questione monnezza per puro scopo di lucro, naturalmente prontissimo a spalancare i propri forni ad un prezzo stabilito unilateralmente ma a carico dei cittadini.
Ancora una volta chiediamo a gran voce l'intervento della Magistratura, affinché indaghi a fondo sull'operato e sulla condotta di tutti i soggetti che a vario titolo sono coinvolti nel trattamento dei rifiuti, e più in particolare sul facile ricorso all'inceneritore - insistente su un sito contaminato - ogni qual volta, in Basilicata, viene affrontata la questione.
11/02/2017

COMITATO DIRITTO ALLA SALUTE

Ultimo aggiornamento (Giovedì 06 Luglio 2017 14:40)

 

PostHeaderIcon FENICE-EDF-RENDINA-AMBIENTE: cronaca della conferenza di servizi sulla sperimentazione dei metodi da adottare per la bonifica.

A luglio 2015, in conferenza di servizi, viene dato per buono il piano di bonifica della falda acquifera sottostante l’inceneritore di San Nicola di Melfi; di li a qualche mese si autorizza l’avvio dei lavori.
Oggi, giovedì 2 febbraio 2017, la conferenza di servizi si riunisce di nuovo per verificare quando è stato fatto da chi gestisce l’impianto. Fenice-EDF-Rendina-Ambiente, in questa prima fase, doveva eseguire dei test ossia verificare l’efficacia dei metodi di bonifica da mettere in campo in una fase di sperimentazione in laboratorio. La bonifica vera e propria - sia chiaro - non è ancora iniziata.
Tutti i rappresentanti degli Enti hanno presentato osservazioni e dubbi circa metodi, valutazioni e risultanze prodotti da Fenice, salvo il Dipartimento di Prevenzione collettiva della Salute Umana dell’ASP che - come sempre - non aggiunge alcun contributo alla seduta ma si “rimette alle valutazioni degli altri Enti”.
Noi non siamo tecnici. Lungi da noi voler entrare nel merito di quanto discusso da chi ha maggiori competenze di noi ma perplessità, dubbi e timori, aumentano con il tempo che inesorabilmente scorre. Tra l’altro, fatto per noi incomprensibile, Fenice-EDF-Rendina-Ambiente è stata autorizzata ad utilizzare metodologie di bonifica sperimentali (con tutte le incognite del caso) anzichè vedersi imposte le migliori pratiche consolidate.
Bonificare una falda significa introdurre in essa sostanze che hanno la funzione di debellare ciascuno degli inquinanti presenti. Peccato che questo processo generi “sottoprodotti” che vanno a loro volta controllati e isolati. Stessa procedura per ogni inquinante. E si andrà avanti fino a quando non verrà individuato il metodo giusto.
Intanto l’inceneritore continua a bruciare, continua cioè a sopperire all’incapacità di una piccola regione di gestire correttamente i propri rifiuti, mentre Fenice-EDF-Rendina-Ambiente non cambia atteggiamento (perchè dovrebbe?).
Il 6 gennaio 2017 si verifica una anomalia alla barriera idraulica, quella dei pozzi serie P100 che dovrebbero servire ad evitare la fuoriuscita di inquinanti dal sito. L’11 gennaio 2017 ARPAB, che pare abbia il monitoraggio a distanza della barriera, si accorge e informa i vari Enti dell’accaduto. Mentre Fenice-EDF-Rendina-Ambiente, fa lo stesso solo dopo che ARPAB ha già segnalato il problema.
Una situazione che si aggiunge ai nostri forti dubbi circa la verifica delle prescrizioni imposte nella Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA) che la Regione ha testardamente ed incautamente voluto rilasciare nel 2014.
A distanza di TRE ANNI le famose prescrizioni vengono rispettate? Chi le verifica? Che fine hanno fatto le denunce dei lavoratori circa i problemi di sicurezza interna esposti ai vari Prefetti che si sono susseguiti in questi mesi? Che fine hanno fatto i 23 camion radioattivi che sono stati bloccati all’ingresso dell’inceneritore tra il 2015 e il 2016?
Quanti Pubblici Ministeri dovranno ancora alternarsi nel processo penale che si sta celebrando a Potenza? Sembra davvero di camminare in una palude senza spiragli di luce.
Una palude sempre più irreversibilmente inquinata.
2 febbraio 2017
COMITATO DIRITTO ALLA SALUTE

Ultimo aggiornamento (Giovedì 06 Luglio 2017 14:37)

 
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